Romelu Lukaku è la spalla perfetta

Fin qui, riavvolgendo il nastro del film che riguarda la prima stagione interista di Antonio Conte, tra novità, cambiamenti e nuove certezze, emerge anche una scena ricorrente che continua a generare dibattito: il ruolo dell’attore Romelu Lukaku Bolingoli all’interno del variegato cast nerazzurro.

Tra chi rimane indiscutibilmente e fermamente convinto del valore del centravanti belga, e chi invece continua a reputarlo poco adatto e difficilmente centrale in un progetto dalle grandissime ambizioni, sorge la considerazione più lampante: l’ex Manchester United divide a metà, nel bene o nel male, l’opinione pubblica. Il tentativo è quindi quello di andare a scavare nel mezzo tra queste due visioni totalmente agli antipodi, cercando di trovare una definitiva risposta al quesito: chi è davvero Romelu Lukaku?

Giunto a San Siro – dopo l’esborso da parte di Marotta e Ausilio pari a sessantacinque milioni più tredici legati a possibili bonus – per sostituire Mauro Icardi sul campo e nel cuore della tifoseria milanese, tutti i sostenitori nerazzurri hanno dovuto in breve tempo accorgersi della contrapposizione, quasi totale, tra i due attaccanti classe ’93, comprendendo che il confronto diretto, in questo caso, non potesse rappresentare la via giusta per valutare oggettivamente il loro complessivo potenziale. Nonostante la similare posizione in campo (possiamo considerare entrambi sulla lavagna tattica delle prime punte), ciò che ci si aspetta sul terreno di gioco dall’uno risulta territorio quasi completamente inesplorato dall’altro. E viceversa. L’unico termine di paragone utile per tirare le somme sull’impatto effettivo rimane sempre e comunque il numero di gol o contribuzioni offensive generali, e in questo senso la stagione di Lukaku fino a questo momento (23 marcature e 5 assist in 35 presenze) non ha di certo deluso le aspettative.

Ma è proprio questo il punto su cui è nostro dovere soffermarci. Non si deve infatti commettere l’errore di considerare l’attaccante belga il primo violino assoluto della squadra in cui gioca, l’attore protagonista per ricollegarci all’incipit o il “ceiling raiser” per usare un linguaggio prettamente cestistico che identifica con questa definizione quel giocatore che alza il livello massimo della squadra e che spesso risulta fondamentale nelle situazioni importanti. Perché nel medesimo istante in cui si elabora questo ragionamento emergono inevitabilmente tutte le sue mancanze e le sue debolezze, che sono poi le stesse più volte riepilogate in toni nemmeno troppo soft da Paolo Di Canio, commentatore Sky:

“Sì, Lukaku sarà straordinariamente importante e funzionale per il gioco dell’Inter e farà oltre venti gol. Ho detto che è un pippone che non sa giocare a calcio? No. La partita col Genoa conferma quello che ho detto: che è un panterone moscione. Non è una teoria mia, è un fatto concreto: le squadre con cui ha segnato in Inghilterra sono il Burnley, lo Stoke City ecc… Non ha avuto mai problemi a fare il forte con i deboli, che è una cosa difficilissima, sia chiaro.  Il problema è con le grandi. In questo campionato ha dimostrato quello che ho detto. Se un giorno farà un gol decisivo contro la Juventus, la Roma o il Barcellona, squadre contro cui ha avuto occasioni, dirò che sono contento perché il ragazzo da grande giocatore qual è già adesso è diventato un top. In questo momento non lo è. Io non guardo le statistiche come gli altri, guardo i numeri mentre guardo le partite. Lukaku l’ho seguito negli ultimi cinque anni in Inghilterra, dicevo le stesse cose l’anno scorso e ha fatto lo stesso: rapporto minuti giocati-gol incredibile, ma a Burnley e Stoke City…”.

E se contestualizziamo le parole dell’ex attaccante della Lazio, non possiamo far altro che associarle a un fondo di verità, in quanto anche in questi primi otto mesi italiani di Lukaku sono emerse le scontate problematiche nel trovare la giocata che scombina la partita nelle serate di gala e l’assenza di gol decisivi a referto nelle sfide-chiave della stagione (nessun timbro contro Juventus, Lazio, Atalanta e Roma e Borussia Dortmund), al  di là della sfida da dentro/fuori in Champions League di Milano contro il Barcellona in cui Romelu, nonostante la rete in apertura con l’aiuto di una deviazione, ha palesato le più lampanti carenze sottoporta nel momento topico.

Una delle occasioni giunte sul piede di Lukaku nella sfida di dicembre contro il Barcellona. Il belga rinuncia prima alla conclusione anticipata col mancino, poi a quella secca con il destro e successivamente prova il rientro sul suo piede forte perdendo due tempi di battuta e facendosi recuperare da Lenglet.

Lo sforzo che è necessario compiere per comprendere il suo gioco, però, è valutarlo a grandissimi livelli principalmente per il ruolo da spalla che ricopre ora nello scacchiere contiano e che riassume tutte le peculiarità migliori del suo modo di stare in campo, riconoscendogli invece il ruolo di “floor raiser“, cioè il giocatore che più di tutti alza il livello minimo dei compagni e della squadra, rappresentando una risorsa importantissima soprattutto contro le squadre di medio-piccola taglia, e quindi ideale per competizioni di lunga portata come i campionati nazionali. Per analizzare nel dettaglio i compiti che si assume dobbiamo prendere in esame la sua capacità di proporsi incontro al portatore di palla per offrire soluzioni d’appoggio, la notevole specializzazione nel proteggere i palloni sporchi (1.6 contrasti vinti in media, dati Whoscored.com) oltre che nel fungere da riferimento anche per i tentativi alti (2.5 duelli aerei vinti a partita in stagione), la buona tecnica che gli permette di dialogare spesso con i compagni con incisività (1.5 passaggi chiave x90 in tutte le competizioni), la disponibilità di assecondare la maggior parte dei movimenti di chiunque sia il compagno di reparto di turno, e – per finire – l’enorme dote di riuscire a far salire la squadra nei momenti di difficoltà e in cui il baricentro è basso, con gli esterni a tutta fascia in risalita ma precedentemente occupati a formare la linea difensiva a cinque con cui l’Inter spesso inibisce gli avversari.

(Credits: Serie A) L’inizio azione del gol del vantaggio interista contro l’Atalanta: Lukaku vede sia il contromovimento di Lautaro che la possibile imbucata di Sensi e decide di dare supporto all’eventuale successiva giocata dell’argentino.
(Credits: Serie A) Lautaro scarica effettivamente il pallone al belga e si propone in avanti: Lukaku serve con un tocco di notevole precisione il classe ‘97, che dopo aver vinto un contrasto buca la porta di Gollini.

Principalmente per quest’ultima ragione, abbiamo constatato nel corso nella stagione come Antonio Conte non riesca praticamente mai a fare a meno del suo gigante e, anzi, avrebbe gradito nella finestra di mercato invernale un’alternativa con caratteristiche paragonabili (Giroud o Llorente) proprio per risparmiare a Lukaku, di tanto in tanto, qualche fatica di troppo.

L’importantissima mole di gioco che Lukaku mette sul piatto, però, dev’essere preferibilmente offerta a un partner offensivo più cattivo, rapace, brevilineo e dinamico. La sintesi perfetta di Lautaro Martinez, il quale non ha caso fornisce meno assist (1) e key passes (0.9 x match) della sua spalla d’attacco, ma arriva molto più spesso alla conclusione verso la porta (3.9 tiri a partita contro i 2.9 del belga). E anche visto l’ultimo periodo di parziale appannamento del classe ‘97 (in gol l’ultima volta il 26 gennaio contro il Cagliari) oltre che di conseguenza dell’Inter in generale dall’inizio del 2020, è evidente come sia proprio l’argentino l’ago della bilancia dei risultati e delle prestazioni del gruppo nerazzurro in questa stagione. Ancor più del suo compagno di reparto. In questa direzione verrebbe da pensare quindi che Lukaku stia idealmente attendendo la totale e definitiva esplosione del ragazzo ex Racing, per diventare a tutti gli effetti il suo comprimario, anche e soprattutto per ciò che riguarda le aspettative popolari.

(Credits: Serie A) Ancora un frame del gol con l’Atalanta per capire quanto sia Lautaro il protagonista principale della coppia, colui che detta il movimento o il passaggio del compagno, e che attacca molto più spesso l’area di rigore con cattiveria appena ne intravede l’opportunità.

In conclusione, anche i precedenti cicli di un allenatore a tratti dogmatico come Conte non hanno fatto altro che dimostrarci la costante volontà di definire con precisione e dal principio il lavoro delle punte. Se pensiamo per esempio alle sue due coppie forse più iconiche prima dell’avventura con l’Inter (Tevez-Llorente alla Juventus e Edèr-Pellè in azzurro), infatti, è sempre risultato chiaro l’amalgama tra l’attaccante di penetrazione, più imprevedibile, e quello invece su cui appoggiare le manovre offensive, di fisico e lavoro, che gioca obbligatoriamente in funzione del compagno e del resto della squadra. Centravanti d’appoggio perfetto lo sviluppo di gioco che Conte ha individuato, cercato con insistenza e trovato esattamente nella figura di Romelu Lukaku (come testimoniano da un lato la volontà pregressa di inserirlo nel suo Chelsea qualche stagione fa, e dall’altro le effusioni di sintonia, trasformate poi in abbracci calorosi – quasi rituali – subito dopo i gol del belga da quando quest’ultimo veste la casacca nerazzurra.

Non avendo certezze assolute su quale potrà essere la durata del lavoro dell’ex allenatore della Juventus alla guida dell’Inter, la forte sensazione però è che fino all’ultimo istante in cui il tecnico leccese sarà seduto su quella panchina, nella rosa nerazzurra risponderà “presente” all’appello anche Romelu Lukaku. La spalla perfetta per i compagni di viaggio più coraggiosi, spettacolari, probabilmente anche più valorosi, ma sicuramente meno adatti di lui a prendere in carico sul set la parte dell’attore indispensabile e non necessariamente protagonista di primo piano.