Massimiliano Allegri e l’asimmetria vincente

L’evoluzione e il continuo mutamento del calcio sono temi ormai in evidenza da qualche decennio. E la chiave di volta di questo importante sviluppo è stato il passaggio, per farla semplice, da un’impostazione di gioco piuttosto statica e definita a varianti sempre più dinamiche oltre che soprattutto, in certi casi, spendibili nel momento in cui ci si deve adattare a determinati avversari o a certi momenti della stagione. Comprendendo, tra le altre cose, costanti interscambi di posizione e rotazioni quasi meccaniche per affrontare la diverse fasi di gioco richieste all’interno della partita.

Se dopo aver letto quest’ultima menzione vi è passato per la testa il nome di Massimiliano Allegri non è un caso, dal momento che il tecnico livornese negli ultimi anni si è dimostrato uno dei tecnici più abili a plasmare il dinamismo tattico delle sue squadre sulle caratteristiche dei singoli giocatori ogni anno a disposizione, ottenendo risultati eccellenti e soprattutto un’identità di squadra assolutamente e volutamente lontana da moduli fissi, giocate standardizzate o movimenti offensivi progettati a tavolino.

Prima e dopo il suo addio alla Juventus, Max si è portato con sé l’etichetta dell’allenatore-personaggio copertina di un concetto calcisticamente filosofico ritornato in discussione recentemente: certe volte è necessario adattare il collettivo ai giocatori e alle individualità che si hanno a disposizione. Il tutto principalmente in relazione agli ultimi anni sulla panchina bianconera, in cui la dimostrazione più lampante di adattamento alle qualità rosa è arrivata con tutta probabilità la scorsa stagione, dopo l’arrivo di Cristiano Ronaldo a completamento di un roster già straordinariamente completo e variegato. Con il sacrificio di un centravanti abbastanza mobile ma comunque spesso riferimento centrale come Higuain, e l’arrivo a Torino del fuoriclasse portoghese più bisognoso di svariare e trovare spazi per il fronte offensivo liberamente, Allegri ha adottato nuove soluzioni per cercare di far esprimere appieno quella che poi sarebbe stata la sua ultima Juve, proponendo degli schieramenti che possiamo senza problemi definire asimmetrici.

Che la versione di Juve 5.0 dell’ex tecnico del Milan venisse proposta inizialmente seguendo il 4-3-3 o il 4-4-2 poco incideva, perchè in nessuna delle due varianti l’interpretazione del modulo era pura e fedele ai numeri. Nel primo caso, per esempio, se nei tre di centrocampo trovavamo Matuidi, Pjanic e Khedira (o Bentancur) con davanti a loro davanti Cristiano, Mandzukic e Bernardeschi (come nella primissima parte di stagione) è evidente che un centrocampista (Matuidi) avesse l’attitudine di allargarsi spesso sull’out di sinistra, e che un attaccante (in questa situazione Bernardeschi o Cuadrado) avesse più predisposizione al sacrificio e alla copertura rispetto a Ronaldo, sulla carta l’”ala” dalla parte opposta.

(Credits: Serie A) Juventus-Genoa 1-1. In fase di non possesso Cuadrado si abbassa e Matuidi scala a sinistra, componendo la linea di centrocampo a quattro tanto richiesta da Max Allegri.

In questo modo il passaggio dall’ipotetico 4-3-3 al 4-4-2 in fase di ripiegamento è stato più che mai semplice e scontato nei meccanismi bianconeri, che hanno avuto così la possibilità di lasciare liberi da particolari compiti difensivi Ronaldo e Mandzukic, due a cui – in coppia – piaceva svariare, talvolta scambiandosi la posizione. Banale il discorso inverso, quando da un 4-4-2 più piazzato a protezione della propria metà campo la Juventus passava in possesso di palla e per il discorso di asimmetria precedentemente citato era portata per caratteristiche a disporsi allargandosi sulle tracce del 4-3-3, nonostante Cristiano e Mandzukic (o Dybala) restassero comunque liberi di giostrare tra i ruoli di esterno sinistro e prima punta. 

(Credits: Serie A) Ecco la situazione citata: Juventus-Lazio 2-0. Appena vede la possibilità del recupero palla dei suoi compagni, Bernardeschi si stacca dalla linea dei centrocampisti e va ad alzarsi a comporre il tridente con Mandzukic e Ronaldo.

A testimonianza, comprendiamo sia l’importanza di quelli definiti poi i “fedelissimi” di Allegri che la difficoltà riscontrata sotto la guida livornese (soprattutto a fine ciclo) da giocatori più indisciplinati tatticamente: nella prima categoria rientrano idealmente Matuidi, Mandzukic e per la prima porzione della stagione 18/19 anche Federico Bernardeschi, interpreti in grado di ricoprire più posizioni e garantire dinamismo difensivo al tecnico toscano; dall’altra parte troviamo principalmente due nomi: Paulo Dybala e Douglas Costa, evidentemente interpreti di assoluta qualità con la palla a disposizione e balisticamente indiscutibili, ma sui quali Allegri ha fatto più fatica ad impostare l’assetto iniziale della sua ultima sceneggiatura in bianconero, in cui l’equilibrio risultava importante e l’adattarsi alla situazione tattica rappresentava praticamente un dogma fondamentale.

(Credits: Serie A) Juventus-Inter 1-0. In questo caso abbastanza particolare, con l’attacco composto da Mandzukic, Ronaldo e Dybala è proprio il croato il giocatore con maggior spirito di sacrificio, e quindi indicato da Allegri per aggiungersi ai tre centrocampi in fase difensiva.

Da qui l’idea sempre più abituale di proporre l’argentino e il brasiliano prevalentemente a gara in corso nella seconda frazione di gioco, momento in cui qualche equilibrio tattico salta, la stanchezza sopravviene e l’abbinamento di tecnica e velocità dei due talenti bianconeri si è poi rivelato spesso fattore decisivo. In linea con questo pensiero c’è stata sicuramente la momentanea e invernale conferma di Dybala più da riferimento centrale del 4-3-3 (e quindi da attaccante destro nel 4-4-2 quando si ruota) favorita dal periodo di assenza per infortunio di Mandzukic.

(Credits: Serie A) Ancora Juventus-Lazio 2-0. Nella seconda frazione a Bernardeschi subentra Douglas Costa, con l’obiettivo di isolare il brasiliano per garantire l’1 vs 1 sulla fascia. In possesso palla il 4-3-3 è chiarissimo, con il tridente disposto e le due mezzali a supporto con il vertice Pjanic che rimane basso e addirittura fuori dall’inquadratura.

Tutto va a però a confermare la scelta di Allegri di puntare solitamente, al fianco dei due attaccanti, su un giocatore in grado di ricoprire il doppio ruolo sulla fascia destra (Cuadrado o Bernardeschi) piuttosto che completare il tridente con un esterno a suo modo di vedere eccessivamente offensivo: discorso valido tanto per Dybala quanto per Douglas Costa. Soluzioni che il tecnico livornese tendeva appunto ad adottare esclusivamente a gara in corso o quando la Juventus si trovava “obbligata” a mettere alle corde l’avversario sin dall’inizio del match e a dare uno stampo immediatamente e decisivamente offensivo alla prestazione.

(Credits: Serie A) Ancora Juventus-Genoa 1-1. In questa situazione (in fase di possesso) la squadra proposta dal primo minuto da Allegri esclude sia Dybala che Douglas Costa, coinvolgendo il tridente formato da Ronaldo, Mandzukic (qui momentaneamente sulla sinistra) e Cuadrado, largo per favorire il taglio centrale di Joao Cancelo in possesso palla.

Giunti fin qui, più attenti si saranno accorti che la situazione descritta si va a collegare marginalmente anche a quanto proposto nel corso di questa stagione, 2019/20, da Maurizio Sarri nei primi sette mesi della sua avventura bianconera. Perché pur lavorando su una struttura di gioco sicuramente più offensiva, alzando in maniera significativa in baricentro della squadra e aumentando i dati sul possesso palla, avendo provato sprazzi di 4-3-1-2 e – a tratti – anche il tridente pesante HDR (Higuain, Dybala, Ronaldo), l’ex tecnico del Napoli ha presentato la Vecchia Signora, prima all’alba della stagione e poi più costantemente nell’ultimo periodo di calcio giocato antecedente a questa pausa forzata, proprio sulle basi di quel 4-3-3 asimmetrico (quantomeno a livello puramente di numeri e schema tattico) di recente memoria allegriana. Probabilmente tra l’altro la situazione tattica più collaudata nelle menti della stragrande maggioranza della rosa.

Con gli obiettivi di trovare in campo un equilibrio spesso carente e di coprire in modo più convincente l’ampiezza del campo in transizione negativa, infatti, Maurizio Sarri sembra essersi convinto dell’idea di puntare su una conformazione del tridente (oltre ai due attaccanti Ronaldo e Higuain o Ronaldo e Dybala) studiata schierando un esterno dinamico e con specifiche leggermente più adattabili alle due fasi. E in questo senso abbiamo assistito all’alternarsi Douglas Costa, Cuadrado e Bernardeschi sulla corsia di destra, con il risultato di veder formarsi poi sul campo, nel momento di perdita del possesso, le classiche due linee a quattro alle spalle dei due giocatori in sostanza esentati da compiti strettamente di recupero.

(Credits: Serie A) Questa volta le immagini ci portano all’ultima sfida giocatain questa stagione Juvnentus-Inter 2-0. Chiarissimi il lavoro da collante di Douglas Costa e quello da pendolo di Matuidi. Quando si trova senza il pallone la squadra di Sarri si dispone esattamente come quella dello scorso anno di Allegri.

Queste ultime considerazioni, avallate dalle parole di qualche settimana fa dello stesso Sarri che hanno avuto grandissima risonanza mediatica (“Vorrei vedere la squadra più continua ma poi bisogna tenere conto delle caratteristiche dei giocatori. Miglioreremo sotto tutti i punti divista, ma non si può andare per gusti personali contro le caratteristiche dei giocatori”) ci permettono però di attribuire con certezza a Massimiliano Allegri le grandissime capacità tattiche e di lettura delle situazioni “di campo” per affrontare e contrastare gli avversari, già dimostrate in passato, che gli hanno permesso di costruire sempre contesti in linea con il materiale umano da gestire, adattandosi alle peculiarità tecniche, fisiche e mentali degli elementi avuti a disposizione nel corso degli anni. E questa rimane una valutazione sul tecnico ex Milan piuttosto indiscutibile, al di là degli ulteriori e ancora attuali ragionamenti (sicuramente giustificabili e applicabili) su un calcio proposto poco spettacolare e ancor meno offensivo, su uno stile di gioco esageratamente conservativo o sulla scarsa valorizzazione del tasso di talento d’attacco di cui avrebbe potuto fruire nelle ultime stagioni in bianconero.

Agganciandoci a Maurizio Sarri, coerentemente con il discorso di asimmetria e dinamismo tattico c’è anche il profondo cambiamento che ha coinvolto – proprio dopo l’addio del tecnico toscano – il Napoli di Ancellotti, il quale ha impostato in principio la squadra su un variabile  4-4-2, nel quale tre giocatori-chiave come Zielinski o Fabian Ruiz e Callejon hanno svolto nelle posizioni da esterni di centrocampo due compiti quasi totalmente differenti creando appunto asimmetria in certe situazioni: il polacco e l’ex Betis sono tuttora ed erano, per caratteristiche tecniche, più portati ad agire in mezzo al campo quando quel Napoli si trovava in possesso palla e ad allargarsi sulla linea a quattro quando “costretti” a coprire più campo in fase di ripiego; in questo modo Ancelotti ha chiesto proprio a Zielinski e Ruiz sulla sinistra un sostegno per i due centrali (spesso Hamsik e Allan) quando Callejon si disimpegnava nelle sue consuete e più costanti sortite offensive sulla destra. Nonostante ciò il 4-4-2 che ha confermato Carletto, pressochè per tutta la sua avventura sotto l’ombra del Vesusio, sembrava orientato quantomeno inizialmente ad apparire più puro e simile a un 4-2-3-1 con la posizione di abbassamento da trequartista di Insigne, rispetto per esempio alle due linee da quattro disegnate da Allegri che andavano sostanzialmente a smascherare il 4-3-3 grazie alla catena rotatoria sulla destra.

(Credits: Serie A) Juventus-Napoli 3-1. Abbastanza chiara la linea a quattro di centrocampo del Napoli, con Zielinski che – seguito da Hamsik, Allan e Callejon – alza il pressing su Bonucci: il Napoli recupera poi la sfera con Allan, trovando il gol del momentaneo vantaggio sull’asse Callejon-Mertens.

Ancor più soggetto all’”asimmetria per caratteristiche”, se così vogliamo definirla, era il Real Madrid di Zinedine Zidane vincitore delle tre Champions League consecutive. In questo scenario lo scambio di posizioni è stato uno dei punti cardine del lavoro di Zizou e uno degli elementi che ha garantito il successo ai blancos. Qui la posizione-chiave risiedeva quasi tutta nei piedi e nei movimenti di Isco, spesso proposto in grafica pre-partita e dallo stesso Zidane in posizione di esterno sinistro del 4-4-2. Molto più frequentemente il Real si trovava però padrone del pallone, letteralmente in banca quando controllato dalla Santissima trinità (Casemiro, Kroos e Modric); fattore per cui lo spagnolo ex Malaga potesse cogliere e occupare in fase offensiva uno spazio fondamentale da trequartista alle spalle di Ronaldo e Benzema, inventando gioco con tocchi verticali di qualità, spaziando tra le linee e creando grattacapi di marcatura non da poco per le difese avversarie.

(Credits: Uefa) Finale di Champions-League: Juventus-Real Madrid. In questa situazione i bianconeri sono in possesso palla, e quindi Isco si allarga sulla sinistra componendo la linea mediana a quattro e ostruendo la linea di passaggio verso Dani Alves.
(Credits: Uefa) Real Madrid in costruzione: la palla e tra i piedi di Modric e Isco va a occupare lo spazio tra le linee davanti ai tre centrocampisti di Zidane. Situazione che crea fastidi alla Juventus sia tra centrocampo e attacco che tra difesa e linea mediana.

Zidane che tra l’altro si sta riconfermando tuttora, nel corso della sua seconda vita sulla panchina del Bernabeu, un grande stratega tattico oltre che un finissimo costruttore di situazioni appunto poco simmetriche e definite sulla lavagnetta tattica ma estremamente funzionali e produttive, come per esempio il famigerato Pentagono di centrocampo spesso proposto in questa stagione: di fronte alla mediana composta da Kroos, Casemiro e Valverde, infatti, l’idea di coinvolgere anche lo stesso Isco e Modric ha generato non poco scompiglio agli avversari, in difficoltà nel contrastare tale dose di qualità in centrifuga. Analizzando il contesto con con la lente di ingrandimento, però, notiamo che anche in questo caso si può trattare per ciò che riguarda la fase difensiva di un 4-3-3 mascherato, perché se Isco si allarga a coprire l’out di sinistra, dall’altra parte è spesso la corsa di Fede Valverde ad assorbire il terzino avversario, con Modric che ritorna in questi frangenti nella sua posizione abituale e ideale di mezzala destra.

(Credits: Real Madrid) Supercoppa spagnola 2019: Real Madrid-Valencia. Il pentagono di centrocampo del Real Madrid, con Isco e Modric che si affiancano all’unica punta Jovic e si aggiungono nella parte centrale del campo a Casemiro, Kroos e Valverde.

Al di là di tutti questi esempi elencati in cui moduli mascherati, giochi di posizione e alternative tattiche in base alle situazioni sembrano essere la chiave del successo, esistono inevitabilmente allenatori e squadre abbastanza lontane da queste impostazioni dinamiche e di rotazione. L’Atalanta di Gasperini, il Barcellona, il Bayern Monaco o il Manchester City di Pep Guardiola, la Lazio di Simone Inzaghi, l’Inter di Antonio Conte o le squadre del passato dello stesso Maurizio Sarri, che (prima Empoli e Napoli, poi Chelsea) sono state caratterizzate da posizioni e moduli (4-3-1-2 e 4-3-3) molto definiti, soprattutto simmetriche, e da giocate collettive altrettanto costanti, abituali, studiate e provate. Motivo per cui il calcio proposto in questi casi risulta probabilmente più definito e immediato, più affascinante, divertente e anche redditizio, forse con l’unico problema che risiede nel cambio e nell’alternanza di interpreti che può talvolta oscurare un’identità di squadra collaudata, costituita per lo più su giocate puntuali e standardizzate piuttosto che su concetti adattabili all’avversario o alla circostanza specifica.

Sistemi di gioco più statici e meno oliati sono ovviamente utilizzati anche da formazioni che non hanno ancora raggiunto il livello di una fortissima e consapevole identità di gioco o di personalità tattica costruita coll’aiuto del tempo, come possono essere per il momento realtà come la Roma di Fonseca o il nuovo Napoli di Gattuso, gruppi comunque ultimamente in forte crescita sul piano di interpretazione della partita e copertura degli spazi. Inconfutabilmente, i concetti di asimmetria e dinamismo tattico necessitano alla base una forte struttura tecnica e di esperienza della squadra o del tecnico in questione, e in questa direzione gli esempi della Juventus di Allegri, del Napoli di Ancelotti, del Real Madrid di Zidane o anche quello non citato della Francia guidata da Didier Deschamps in grado di trionfare ai Mondiali 2018 in Russia (in cui lo stesso Matuidi ha ricoperto ancora una volta un ruolo di importanza vitale da esterno alto adattato del 4-2-3-1 con il funambolico e predestinato Mbappè dall’altra parte caratteristiche e movimenti praticamente opposti), non sono per nulla casuali. 

Di sicuro c’è che, come abbiamo detto, queste variabili tecnico-tattiche permettono agli allenatori di sfruttare al meglio le singole caratteristiche dei loro interpreti più determinanti, e consentono di adattare la gestione strutturale della squadra in base alla partita a cui si va incontro in uno specifico momento o ad ogni differente situazione che si può andare a creare a gara in corso. Effettivamente non tutti i condottieri possono permettersi questa varietà di scelte o di soluzioni, e solo i più bravi riescono nell’intento di dimostrarsi efficaci. Ma i risultati spediti in bacheca sono sotto gli occhi di tutti.