Il Tucu Correa sta diventando grande

Per i pochi che non se stessero accorgendo, Joaquin Correa sta diventando grande. E lo ha dimostrato ancora una volta, in maniera piuttosto lampante, nel match di domenica contro la Juventus all’Olimpico, tra una giocata offensiva e l’altra (45/64 riuscite, il 70%), giusto qualche dribbling totalmente disorientante (6 a buon fine sugli 8 tentati), una presenza carismatica forte da potenziale leader tecnico offensivo e un blitz sulla sinistra al 94’ sì da stropicciarsi gli occhi ma anche tremendamente efficace, perché da lì è arrivato il gol di Caicedo a regalare il pari alla Lazio.

Proprio con il provvidenziale ecuadoregno, con Muriqi, e con un Immobile che magari non riuscirà a raggiungere le cifre realizzative dello scorso anno, Correa rappresenta la certezza tecnica del reparto offensivo biancoceleste. Può giocare in coppia con tutti, legare i reparti, abbassarsi sulla trequarti, ricoprire temporaneamente il ruolo di punta vera e comunque spaziare abbastanza liberamente per trovare il pallone, dal quale far nascere – spesso sull’asse sinistra con Luis Alberto – larga parte delle situazioni pericolose dei suoi.

(Credits: Ultimo Uomo) La posizione di partenza di Correa nell’azione del gol di Caicedo con la Juve. Dribbling solitario e 1-1 a referto.

Per avere un quadro del background calcistico possiamo dividere lo sviluppo del ’94 argentino principalmente in tre fasi: gli esordi, la crescita e la maturazione.

Tra gli esordi sicuramente quello a livello assoluto nel calcio dei grandi con l’Estudiantes di Juan Sebastian Veron e quello nel calcio d’Europa, a diciannove anni con la maglia della Samp prima di Mihajlovic e poi di Zenga e Montella. Un Tucu fresco, da svezzare e soprattutto da sgrezzare, ma già con lampi di qualità. Successivamente la chiamata del Siviglia a suggellare un potenziale interessante, che in un campionato tecnico ma allo stesso tempo abbastanza intenso come la Liga (oltre che con le prime apparizioni in Champions League) ha cominciato a lasciare pian piano tracce di forte crescita da giocatore vero. Lo step di maturazione che stiamo vivendo sotto i nostri occhi però, è probabilmente opera per buona parte di Simone Inzaghi, che dall’arrivo di Correa in maglia biancoceleste lo ha reso un giocatore focalizzato, pienamente dedito alla causa e – ancor più fortemente – un giocatore d’attacco straripante dal punto di vista fisico-atletico e muscolare, oltre che ovviamente tecnico.

Tutto bello? Si, ma al Tucu Correa in questi anni è mancato probabilmente qualcosa: la vera efficacia realizzativa, quella che ti porta a uno step più elevato se fai parte di una categoria di giocatori offensivi tremendamente concorrenziale. Nelle ultime sei stagioni, escludendo quella in corso, il Tucuman ha sempre sottolineato un saldo negativo tra gol realizzati e attesi (xG), fatta salva l’annata 16/17 con il Siviglia (4 gol contro 2.8 xG). Da evidenziare, però, ormai abbiamo cominciato a conoscerlo, come il numero 11 della Lazio arrivi spesso a concludere dopo slalom sulla trequarti, o comunque giocate associative col compagno, percorrendo ampie porzioni di campo prima di arrivare in area non sempre al 100% della lucidità. Nell’ultima stagione, 19/20, in realtà il bottino è migliorato stabilizzandosi su 10 reti complessive tra tutte le competizioni, a fronte però comunque di 12.22 xG. Riassumendo, tendenzialmente non è il gol la sua specialità, ma questo – probabilmente – avevamo già avuto modo di comprenderlo dopo l’errore a porta vuota contro l’Inter sotto la curva di Marassi, nel 2016.

Correa in azione con la maglia della Sampdoria in un match contro il Frosinone nella Serie A 2015/2016. Movenze eleganti e controllo del pallone già in possesso dell’argentino.

A margine sul percorso, tra le righe anche la duttilità tattica e la disponibilità del ragazzo, oltre che la malleabilità del suo potenziale: esterno di centrocampo nell’Estudiantes, trequartista, mezzala offensiva o esterno d’attacco nella parentesi blucerchiata, fino a sfiorare il ruolo di prima punta atipica nei due anni spagnoli e arrivando così a definirsi, sempre sotto la gestione Inzaghi, nel ruolo di efficacissima seconda punta di movimento.

Tornando proprio a noi, a oggi, sul terreno di gioco è impossibile non notarlo. A livello di caratteristiche Correa è un giocatore quasi unico nel nostro campionato ma non solo, con tutta probabilità. Per la facilità con cui abbina leggerezza,brillantezza, dribbling, velocità e tecnica a un fisico elegante ma strutturato (188 cm per 77 kg) l’unico in Serie A che può ricordarlo è il milanista Leao, seppur con passo più lungo e falcata più ampia dettata dal baricentro alto, oltre a una proprietà tecnica nello stretto non ancora su quei livelli. Per intenderci, quella con cui l’ex Siviglia ha fatto ballare sul filo dell’area di rigore bianconera Merih Demiral, di certo non l’ultimo arrivato in marcatura, controllando e spostandosi il pallone con la suola.

Correa è quindi attualmente un giocatore assolutamente maturo dal punto di vista agonistico ma con ulteriori margini di miglioramento nella definizione, centrale nel progetto laziale ed estremamente coinvolto all’interno del calcio che vuole proporre il suo allenatore, sia quando si tratta di scardinare le difese più chiuse che nelle occasioni di ripartenza con immediatezza in situazioni transazionali, nelle quali sprigiona al massimo il suo talento.

Certo se iniziasse a segnare con continuità, mai perdere la speranza, inizieremo a parlare di un top. Ma in fondo, avendo la fortuna di poter formare coppie e reparti con finalizzatori più letali come Immobile o addirittura Messi, lo stesso Caicedo per arrivare fino ad Aguero e Lautaro, la classe del Tucu Correa potremmo anche imparare a farcela bastare, deliziosa e mortifera, così com’è.